Il danno causato dal lavoratore e la trattenuta in busta paga.

Nel caso del risarcimento del danno causato dal lavoratore, il rapporto da cui scaturiscono le reciproche obbligazioni è unico: il lavoratore vanta un credito di tipo retributivo fondato sul contratto di lavoro subordinato ed il datore di lavoro vanta un credito risarcitorio anch’esso fondato sul contratto di lavoro, in quanto conseguente ad un illecito commesso dal lavoratore nell’esecuzione del citato contratto. L’eventuale trattenuta realizzerebbe, quindi, una compensazione impropria.
Il danno causato dal lavoratore in conseguenza della commissione di un atto illecito può essere “riparato” con una trattenuta in busta paga?
La compensazione impropria viene pacificamente ammessa dalla Giurisprudenza, la quale individua quale requisito indispensabile ai fini della legittimità della compensazione, la preventiva contestazione al lavoratore del danno subito, da intendersi non in senso tecnico quale atto che avvia il procedimento disciplinare, ma quale atto che porta a conoscenza del lavoratore l’esistenza del danno subito nonché l’entità dello stesso.
Se tali sono i principi generali applicabili alle trattenute operate per il risarcimento del danno causato dal lavoratore, non possono essere taciute le previsioni di alcuni contratti collettivi che richiedono precisi adempimenti perché la trattenuta possa effettivamente considerarsi valida.
Si prenda ad esempio il contratto collettivo logistica, trasporto merci e spedizioni a norma del quale l’impresa che intenda chiedere il risarcimento dei danni al lavoratore deve preventivamente adottare almeno il provvedimento disciplinare del rimprovero scritto, specificando l’entità del danno. In tal caso non sarà affatto sufficiente una generica contestazione del danno, ma sarà necessaria una contestazione, da intendersi questa volta in senso tecnico, che avvii un procedimento disciplinare che si deve necessariamente conclude con l’irrogazione di un provvedimento disciplinare se si intende poi operare la trattenuta.
Un altro aspetto fondamentale della questione riguarda il limite del quinto che, secondo quanto affermato dalla giurisprudenza, non trova applicazione nell’ambito delle trattenute operate dal datore di lavoro per danni causati dal lavoratore, trattandosi di contrapposti crediti originati da un unico rapporto, quello lavorativo.
Limiti quantitativi vengono comunque imposti dalla contrattazione collettiva. Ne è un esempio il CCNL Industria Chimica il quale prevede che “Le trattenute per risarcimento danni devono essere rateizzate in modo che la retribuzione mensile non subisca riduzioni superiori al 10% del suo importo.”
Il datore di lavoro che vorrà procedere alla trattenuta dello stipendio del proprio lavoratore, che gli ha causato un danno, dovrà quindi avere ben presente le norme del CCNL per evitare qualsiasi contestazione.

La responsabilità per danni del lavoratore nei confronti del datore di lavoro.

Nell’ambito del rapporto di lavoro si possono verificare violazioni da parte del lavoratore che danno luogo ad una responsabilità risarcitoria.
Sono individuabili due forme di responsabilità a cui il lavoratore può dover far fronte: la responsabilità contrattuale, che discende dagli specifici obblighi assunti con la stipulazione del contratto di lavoro e che si realizza quando il lavoratore risulta inadempiente rispetto a tali obblighi, nonché la responsabilità extracontrattuale, che prescinde da quanto statuito nel contratto di lavoro e che discende da un illecito, penale o amministrativo, commesso dal lavoratore.
Le due tipologie di responsabilità trovano il proprio fondamento legislativo in norme differenti ed in particolare la prima fa riferimento agli artt. 2104 e seguenti, i quali prevedono che in capo a qualsiasi lavoratore sia posto il dovere di diligenza, l’obbligo di fedeltà nonché l’obbligo di lealtà, mentre la seconda tipologia ha quale riferimento l’art. 2043 del codice civile, a norma del quale “qualunque fatto doloso o colposo che cagiona ad altri un danno ingiusto, obbliga colui che ha commesso il fatto a risarcire il danno”.
Le due tipologie di responsabilità possono andare di pari passo laddove il lavoratore nell’adempimento delle proprie attività lavorative violi uno degli obblighi sullo stesso incombenti in qualità di lavoratore e, contestualmente, commetta un illecito.
Si pensi ad esempio al caso in cui il prestatore di lavoro subordinato si appropri, nell’esercizio delle sue mansioni, di somme di danaro affidategli dal datore di lavoro. Tale appropriazione integra innanzi tutto un illecito contrattuale, in quanto costituisce la violazione del dovere di eseguire la prestazione lavorativa nell’osservanza delle regole di correttezza (ex art. 1175 c.c. ) e di diligenza (ex art. 2104 c.c. ). Il medesimo comportamento costituisce poi un illecito poiché lede il diritto assoluto all’integrità del patrimonio, di cui è titolare, indipendentemente dal contratto di lavoro, il datore di lavoro.
Ma può il datore di lavoro rivalersi per il danno subito sul lavoratore?
La Cassazione afferma che il datore di lavoro sia legittimato ad agire in giudizio per il risarcimento del danno sia in via contrattuale, sia in via extracontrattuale. La diversità delle due azioni ha rilievo ad esempio in ordine al regime dell’onere probatorio, posto che per la prima tipologia di responsabilità è sufficiente che il datore dimostri l’esigibilità del diritto al corretto adempimento, mentre per la seconda tipologia sarà necessario provare oltre al diritto anche il nesso di causalità tra il fatto e il danno subito.
È bene quindi tenere presente che, indipendentemente dalla fonte della specifica responsabilità, il datore di lavoro ha diritto ad ottenere il risarcimento quando il lavoratore provochi un danno al suo patrimonio.