Contratti di stage e apprendistato possono costare cari alle aziende. Come evitare che il risparmio diventi spreco.

Negli ultimi tempi si è registrato un vero e proprio boom dei contratti di stage, tirocinio e di apprendistato. Tale fenomeno è stato di sicuro alimentato dalle agevolazioni riconosciute negli ultimi anni dal nostro Governo in favore delle aziende. In tal senso, anche per il 2017 è stato confermato, tra gli altri (bonus assunzione donne e bonus Sud), il bonus assunzioni per i datori di lavoro che confermeranno i tirocinanti che hanno collaborato in azienda attraverso il programma nazionale Garanzia Giovani.

Pertanto, per tutto il 2017 i datori di lavoro privati che assumeranno giovani iscritti a tale programma avranno diritto ad una compensazione dei contributi previdenziali dovuti. Agevolazioni contributive seguono anche ai contratti di apprendistato, mentre gli stage sono comunemente ritenuti delle tipologie di lavoro a costo zero.

Non c’è dubbio che attraverso tali strumenti le aziende riescano a contenere i costi e gli oneri amministrativi, ma essi possono rivelarsi un’arma a doppio taglio, se indebitamente utilizzati. La legge, infatti, disciplina scrupolosamente i loro ambiti e sfere di applicazione, pena il riconoscimento di un rapporto di lavoro di natura subordinata.

Scopo comune di entrambe le tipologie contrattuali è formare professionalmente lo stagista/apprendista. A tal fine è previsto che questi segua un apposito progetto formativo, che deve essere redatto per iscritto, e che sia affiancato da un tutor. Entrambe le cose non sono così scontate nella realtà dei fatti.

Chi intende ricorrere a tali istituti deve far bene attenzione alle effettive modalità svolgimento del rapporto poiché laddove lo stagista/apprendista riesca a dimostrare in giudizio di essere stato assoggettato al potere di organizzazione e controllo da parte dell´impresa ospitante/datore di lavoro, il Giudice riconoscerà facilmente l’esistenza di un rapporto di lavoro subordinato tra le parti, con conseguente diritto del dipendente ad ottenere le differenze retributive arretrate e la perdita da parte del datore di lavoro degli eventuali incentivi economici e nomativi applicati all’apprendistato.

Per tale ragione, laddove si decidesse di ricorrere a tali istituti è necessario seguire alcune regole di prudenza.

Il tutor deve essere ben individuato essere “credibile ” e deve effettivamente essere presente in azienda dove il lavoratore opera. Meglio ancora prevedere un percorso con più tutor che si avvicendano in ragione del processo di apprendimento. 

Poi è consigliabile tenere un registro delle attività formative e possibilmente garantire corsi formativi interni o meglio esterni, e controllare i livelli di apprendimento periodicamente, magari anche attraverso veri e propri test periodici.

EMANATO L’ACCORDO INTERCONFEREDALE SULL’APPRENDISTATO DI PRIMO E TERZO LIVELLO.

Il D.lgs. n. 81/2015, attuativo del Job act, ha dettato anche una nuova disciplina in materia di apprendistato. Il fine è quello di realizzare la famosa alternanza scuola lavoro e più precisamente quello di garantire l’acquisizione di ulteriori competenze tecnico funzionali e un più rapido ingresso dei giovani nel mercato del lavoro.
Il provvedimento, entrato in vigore il 25 giugno 2015, ha riscritto la disciplina dell’apprendistato (abolendo il precedente TU), focalizzandosi sull’apprendistato per la qualifica ed il diploma professionale nonché su quello per l’alta formazione e ricerca (rispettivamente apprendistato di primo e terzo livello). E’ rimasta pressoché invariata la disciplina dell’apprendistato di secondo livello (cd. Professionalizzante).
All’interno di tale quadro normativo, il 18 maggio 2016 è stato siglato l’accordo interconfederale tra Confindustria e CIGL-CISL e Uil con l’intento di dare un maggiore impulso al ricorso agli apprendistato di primo e terzo livello “per consentire ai giovani l’acquisizione di titoli di studio nell’ambito dell’istruzione e formazione professionale di competenza regionale, dell’istruzione tecnica e professionale di competenza statale, nonchè di titolo di alta formazione e per la ricerca, utili all’inserimento nel mercato del lavoro e al contrasto della dispersione scolastica e universitaria.”.
Possono essere assunti come apprendisti i giovani tra i 15 ed i 25 anni di età, che siano iscritti alla scuola secondaria superiore dal secondo anno in poi. L’orario di lavoro non può superare le 7 ore giornaliere e le 25 settimanali per i giovani fino a quindici anni; le 8 ore giornaliere e 40 settimanali per i giovani cha abbiano compiuto i sedici anni.
Per poter accedere a tale contratto, i giovani devono presentare una specifica domanda individuale. La scuola, d’intessa con il datore di lavoro, provvede ad informare il giovane sul piano formativo individuale, sui criteri e sulle procedure di selezione degli apprendisti, sulla normativa in tema di sicurezza e salute sul lavoro.
Individuato il soggetto da assumere, il datore di lavoro  sottoscrive un protocollo con l’istituzione formativa ed un contratto individuale di apprendistato con il giovane.
La durata del contratto non può essere inferiore a sei mesi (a prescindere dal tipo di contratto di apprendistato), mentre la durata massina varia in funzione della tipologia scelta. In ogni caso, essa non può essere superiore a quatto anni.
E’ possibile la proroga di un solo anno per il consolidamento delle competenze tecniche professionali e specialistiche oppure nel caso in cui l’apprendista, al termine del percorso, non abbia conseguito alcun titolo.
Attraverso il meccanismo duale l’apprendista svolgerà una parte di formazione esterna presso l’Istituto di provenienza (per la quale il datore di lavoro è esonerato da ogni obbligo retributivo) ed una parte di formazione interna all’azienda. Il totale delle ore di formazione interna ed esterna non può in ogni caso superare le ore di formazione annuali ordinamentali.
Al fine di determinare la retribuzione dell’apprendista, l’Accordo interconfederale in commento ha previsto che all’apprendista debba essere attribuito un livello di inquadramento convenzionale (che in base alla durata complessiva dell’apprendistato sarà di uno o due livelli inferiori a quello di destinazione finale).
La retribuzione verrà conseguentemente stabilita in misura percentuale rispetto al livello così riconosciuto (il primo anno in misura non inferiore al 45% della retribuzione di riferimento, il secondo non inferiore al 55%, il terzo non inferiore al 65% e l’ultimo anno non inferiore al 70%).
L’augurio è che tale disciplina non resti lettera morta e si avvii un sano meccanismo di alternanza scuola lavoro come in altri paesi europei.

Precisazioni del Ministero del Lavoro su trattamenti di disoccupazione e apprendistato.

Lo scorso 20 maggio il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, rispondendo ad un quesito posto dall’Associazione nazionale Agenzie di somministrazione, ha precisato i limiti dell’applicabilità della normativa in materia di assunzione con contratto professionalizzante di soggetti che abbiano superato i 29 anni di età.
Da un lato, con il D. Lgs. 22/2015 il legislatore ha riordinato le misure di sostegno al reddito previste per il caso di disoccupazione involontaria. Oltre alla Naspi, della quale beneficiano i lavoratori subordinati, è stata riconfermata la misura di sostegno del reddito diretta ai collaboratori parasubordinati, c.d. DIS COLL, è stata, poi, prevista il c.d. Asdi (assegno di disoccupazione) diretto a coloro che hanno fruito della Naspi per la sua intera durata ed è stato introdotto l’assegno individuale di ricollocazione.
Dall’altro lato il legislatore, sempre nell’ambito del Jobs Act, ha previsto la possibilità per i datori di lavoro di assumere per la qualificazione o riqualificazione professionale con contratto di apprendistato professionalizzante, i lavoratori beneficiari di indennità di mobilità o di un trattamento di disoccupazione senza limiti di età.
Il problema sorge in riferimento a quei trattamenti che sono finalizzati alla ricollocazione: la questione, infatti, è se i soggetti percettori di tali trattamenti possano rientrare tra gli assumibili con contratto di apprendistato professionalizzante senza limiti di età. Con l’interpello 19/2016 il Ministero del Lavoro chiarisce proprio questo aspetto specificando che soltanto i percettori di trattamenti di disoccupazione e quindi di NASPI, DIS COLL e ASDI possono essere assunti fruendo dei benefici di legge riservati ai lavoratori apprendisti.
La normativa citata così come chiarita dal Ministero offre, quindi, ai datori di lavoro la possibilità di assumere lavoratori con contratto di apprendistato benché ultraventinovenni a condizione che fruiscano di un trattamento di disoccupazione, garantendo tutti i vantaggi contributivi, salariali (che discendono dalla possibilità di sottoinquadrare l’apprendista) e fiscali derivanti dalla specifica tipologia contrattuale.